Bernard-Henri Lévy

Contributi al dibattito politico e culturale

Vent'anni fa, l'affaire Rushdie

Ricordo tutto come fosse ieri.

In comune la stessa età. E la stessa passione per l’India, così come il privilegio di aver conosciuto, e di averne parlato nei nostri libri, Zulfikar Ali Bhutto, il padre di Benazir, il vecchio Primo ministro ucciso per impiccagione. Osservo da lontano il percorso di questo contemporaneo quasi perfetto, quando, un giorno di febbraio del 1989, giunge la notizia: l’ayatollah Khomeyni, cui non restano che pochi mesi di vita, ha appena promulgato una fatwa di morte contro l’autore dei “Versetti satanici”.

Come molti altri scrittori la mia reazione è immediata, e si contrappone alle prudenze dei responsabili politici e religiosi del pianeta: solidarietà istintiva, incondizionata, al romanziere. Questo perché sento, tra l’altro, che qualcosa di essenziale sia in gioco lì, sotto i nostri occhi, nel fragoroso furore delle sommosse di Karachi, Delhi o Londra: la vita di un uomo, ovvio; il diritto di un romanziere di poter continuare a dar vita alle proprie finzioni, senza dubbio; ma, anche, uno sconvolgimento di sostanza, profondo, nel paesaggio ideologico contemporaneo.

Venti anni dopo, non ho cambiato parere. Salman è più tranquillo, quasi libero (dico “quasi” perché, sebbene egli abbia l’estrema eleganza di vivere come se niente fosse, una fatwa “sospesa” resta pur sempre una fatwa) – ma non ho di fatto modificato una virgola della mia analisi.

1. La questione dei “Versetti” inaugura una serie di regressioni il cui primo esempio è l’episodio delle caricature di Maometto. Certo, le situazioni sono differenti. Ma s’è trattato del medesimo orrore. La stessa reazione di immobilismo da parte dei grandi giornali che, salvo rare eccezioni, si guardarono bene dal solidarizzare con il loro collega danese vilipeso. E la stessa capitolazione a fronte di gruppi rivendicanti il diritto di sostituire la loro legge privata alle leggi della Reppublica. In Francia, Charlie Hebdo ha salvato l’onore.

2. La questione segna una svolta nell’idea che ci facciamo del principio di tolleranza. Essa tolleranza, fino alla fatwa, era quel principio per il quale la parola della maggioranza salvaguarda il diritto di quella delle minoranze, lasciando loro, nello spazio pubblico, luoghi di espressione. Dopo la fatwa, essa diviene il diritto, per qualunque minoranza, di perseguire proponimenti che sono la negazione dello spirito democratico. Eccola, ad Amsterdam, l’idea secondo cui le opinioni che hanno armato la mano dell’assassino di Theo Van Gogh meritano la stessa tolleranza di quelle, “provocatrici”, del cineasta. Eccola, a Parigi, l’opinione dei funzionari islamisti , “offesi” dall’apostasia di Ayaan Hirsi Ali, ritenuta non meno legittima di quella dell’ex deputato favorevole al diritto, per ognuno, di entrare in una religione e di uscirvi. Ed ecco, ovunque, il concetto di tolleranza brandito come uno stendardo da coloro che intendono mettere sullo stesso piano le culture in cui le donne, per esempio, sono considerate essere umani in tutto e per tutto e quelle in cui esse vengono ridotte allo status di elementi perturbatori di cui bisogna, ad ogni prezzo, nascondere i corpi e i visi. Culturalismo. Differenzialismo e relativismo morale. L’altra eredità dell’affaire Rushdie.

3. L’affaire è il segnale di un’autentica regressione dello spirito dei Lumi. Perché cosa sono i Lumi? Il diritto di credere e di non credere. Il diritto, se non si crede, di fregarsene delle credenze altrui. Questo diritto al blasfemo s’è imposto, non senza difficoltà, sui monoteismi ebreo e cristiano, ma resta criminale presso coloro che, nell’Islam, e successivamente all’affaire Rushdie, urlano: “d’accordo per la libertà d’opinione; d’accordo per il diritto di non credere; ma con moderazione, e a condizione che chi non crede non diffami l’idea di Dio”. Allora, non mi soffermo sulla povera idea che di Dio si fanno coloro che pensano che basti una caricatura a diffamarlo. Passo sul fatto che i veri caricaturisti del Profeta, quelli che l’oltraggiano più scandalosamente, sono coloro che ne fanno la bandiera della loro pulsione di morte. La verità è che un mondo in cui non si ha più diritto di ridere dei dogmi è un mondo immiserito. La verità è che un mondo in cui non si possa più fare fiction di tutto sarebbe un mondo più asservito. Tempi cupi. Oscuramento degli spiriti. Spirito del tempo.

4. Gli ayatollah non sono i primi ad aver voluto bruciare libri e uccidere scrittori? Certo. E tale attacco allo spirito è anche, ogni volta, uno degli indicatori avanzati dell’ingresso nel regno del peggio. Eh sì, appunto. L’affare Rushdie è stato proprio uno di quegli indicatori avanzati. Ha avuto la stessa funzione del rintocco di campane nel mondo antico. Sarebbe rimasto come una delle date, se non la data, indicante la comparsa di quella nuova variante del fascismo che è il fascislamismo. C’è stato l’11 Settembre e i suoi tre rintocchi… La morte di Massoud, all’inizio.. Il martirio di Daniel Pearl, un poco più tardi… Gli omicidi di massa in Algeria, un po’ prima… Ma il primo tempo della sequenza fu –all’improvviso ciò mi appare, retrospettivamente, molto chiaro- la condanna a morte di uno scrittore per offesa alla parola del Corano.

Che strana avventura, per un incantatore di parole, essere pure il nome di una data nera nella storia delle idee!

Bernard-Henri Lévy, Le Point, 12.02.2009
(traduzione di Daniele Sensi)