Bernard-Henri Lévy

Contributi al dibattito politico e culturale

Se un Piccolo Vulcano può Fermare il Mondo

Si potrà polemizzare finché si vuole. Si potrà, non appena tutto sarà rientrato nella normalità, discutere fino alla noia sui voli di prova che - comunque - ci sono stati, sugli aerei rispediti senza passeggeri - e senza incidenti - verso gli scali in patria, sul presidente russo Medvedev che non ha avuto timore di sfidare l' altissima colonna di cenere vulcanica per recarsi alle esequie del collega polacco. Si potrà, come di consueto, brontolare contro le esagerazioni nelle misure precauzionali, e contro il rifiuto del rischio che è diventato la regola d' oro delle nostre società e dei nostri governi tremebondi. Resta il fatto che si è verificato un evento naturale. Immenso e minuscolo allo stesso tempo, questo evento ha innescato il celebre effetto farfalla che si tira in ballo in ogni occasione, ma stavolta a ragione. Colossale e insignificante allo stesso tempo, e colossale proprio perché insignificante al suo inizio, come negli scenari di fantascienza, nelle grandi epopee dell' antichità, nei cataclismi biblici. Un vulcano si è svegliato. Un vulcano piccolo piccolo. Più piccolo di quello che, nell' anno 79 della nostra era, ha distrutto Pompei, Ercolano e Stabiae; più piccolo di Laki, la cui eruzione, in Islanda, nel 1783, spedì le sue ceneri in giro per il pianeta; minuscolo, pressoché irrisorio, in confronto al terribile Tambora che esplose in Indonesia sul finire del 1800: le sue ceneri, prima di disperdersi, fecero diverse volte il giro della terra e la sua potenza, pari a cento volte le esplosioni atomiche sommate di Hiroshima e Nagasaki, provocò quasi centomila vittime. È un vulcano da niente, in un paese che si direbbe senza importanza, di cui i tre quarti dell' umanità ignoravano fino a ieri l' esistenza, e il rimanente quarto pensava che si fosse auto radiato dalla cartina del pianeta produttivo, in seguito alla crisi economica dello scorso anno e al crollo del governo, travolto dal fallimento finanziario. Ma ecco che questo vulcano, sopito da 187 anni, si mette a sputar fuori quello che nasconde nel suo ventre, ecco che questa eruzione di fuoco, gas e rocce polverizzate riesce a incollare a terra migliaia di velivoli, a seminare la confusione in tutte le economie sviluppate, a paralizzare gli uni, a spaventare gli altri. Ecco che, proprio come è accaduto con la grande crisi finanziaria, a incepparsi non sono stati i flussi di capitali, bensì i flussi di comunicazione e di circolazione degli uomini e delle merci: dapprima rallentati, poi interrotti come un coagulo che si rapprende. Chi è più forte, chiede il piccolo vulcano, tutti voi o la mia nuvola di cenere? Chi è più birichino, la mia polvere furtiva, quasi invisibile, la cui corsa lenta o impazzita nessuno si azzarda a predire di ora in ora, oppure i vostri battaglioni di vulcanologi e meteorologi che non hanno né visto né previsto nulla e che ancora oggi, malgrado tutta la loro scienza, le tecniche, i dispositivi ultrasofisticati di prevenzione e d' intervento, gli osservatori giganti, si devono accontentare di scrutare il cielo come gli auguri romani spiavano il volo casuale degli uccelli? Chi avrà l' ultima parola: l' Uomo, che si autoproclama padrone della natura e aspira a controllarne fino ai sussulti più intimi, e addirittura sogna, come l' alchimista Almani della Nouvelle Justine di Sade, di diventare egli stesso un vulcano e di appropriarsi di quel ventre che vomita fiamme - oppure io, il piccolo vulcano, che con i miei abissi nebulizzati, le mie deiezioni infernali, per non parlare delle mie polveri vagabonde e in sospensione ma capaci, se non state attenti, a inghiottire i vostri aeroplani come fece l' Etna con Empedocle, vi ricorda che la Natura esiste, che la Natura resiste, e che nessuno ha il potere né di metterla in mora, né di assoggettarla in tutto e per tutto, né di trasformarla in un deserto, a forza di intralci e di violenze? Abbiamo tirato le somme, ovvero, è questa la conclusione cui presumibilmente sono giunte le certezze della nostra tecnoscienza, tra i tanti meravigliosi strumenti capaci di forgiare, trasformare e, in teoria, addomesticare e pacificare la realtà e quelle altre Fucine, dove gli Antichi vedevano indaffarati, ai piedi dei vulcani, gli operai di Efesto - quei Ciclopi mostruosi che erano al contempo i custodi paradossali dell' Essere? Prosopopea del vulcano. Rabbia del piccolo vulcano, arroventato dalla sconfinata arroganza e dall' indecenza degli uomini. Silenzio, dice il vulcano. Silenzio, adesso parlo io. Che nessuno osi più fiatare: che le vostre macchine volanti siano, fino a nuovo ordine, bandite dai cieli; che ciascuno di voi resti nel posto esatto dove si trovava quando è iniziata la mia eruzione di zolfo, nitro e bitume (sempre Sade). E difatti nessuno si muove. E difatti il pianeta trattiene il respiro, aspettando che il vulcano si acquieti. E noi tutti ci sentiamo correre un brivido nella schiena all' idea di una potenza che di colpo sovrasta la nostra volontà e si mette a dettare la sua legge. È questa la lezione del vulcano. Sotto il vulcano, non troveremo certo la spiaggia, bensì l' indispensabile pazienza delle cose. Dalla sua gola ardente, il vulcano lancia un messaggio di umiltà e un appello alla misura. Sia benedetto il vulcano. Felice il caos da lui scatenato. E che Empedocle possa, stavolta, tenersi i sandali allacciati ai piedi.
Bernard-Henri Lévy, 20.04.2010
(traduzione di Rita Baldassarre)

"Fermate il dibattito sull'identità nazionale"

I firmatari della petizione scrivono che il dibattito sull’identità nazionale è “fattore di odio e di disunione”. Perché questa accusa?

Bernard-Henri Lévy: Sono le stesse osservazioni che fanno coloro che partecipano a queste riunioni. Unanimemente, o quasi, essi dicono a SOS Racisme che questi dibattiti vanno male, che volgono per il peggio. Ci avevano annunciato un dibattito sereno. Mentre, di fatto, siamo dinanzi ad un discorso che dovrebbe essere stigmatizzo e che invece viene d’improvviso legittimato.

La verità è, anche, che in quei dibattiti si respirano gli effetti di un clima generale. Quando un ministro dell’Interno [Brice Hortefeux, ndr] si abbandona ad una battuta razzista nel corso dell’università estiva dell’UMP e solo in pochi, tra gli astanti, reagiscono, quando una campagna per le presidenziali fa ricorso ad una esplicita strategia di recupero dei voti e di una parte dei temi del Fronte nazionale, quando questi temi vengono banalizzati, allora non bisogna più stupirsi se le cose prendono la piega che stanno prendendo. Il clima è sempre più propizio a ciò che SOS Racisme denuncia nella sua petizione.

Perché fermare il dibattito proprio ora e non subito, all’inizio?

Per quanto mi riguarda, ho sempre ritenuto assurdo questo dibattito, del tutto idiota. Ma non volevo gridare al lupo. Mi dicevo che forse occorreva aspettare e che forse ero io ad avere una visione troppo allarmistica. Oggi, ahimè, i miei timori trovano conferma. E stiamo pagando il conto per quella follia che è stata la creazione di un ministero dell’Immigrazione e dell’Identità nazionale. Ciò che sta succedendo è la logica conseguenza della fondazione di quel ministero, di come lo si è chiamato e di talune misure che esso ha adottato

Ecco il perché del nostro appello al presidente della Repubblica. Lui è il solo che possa arrestare tale pagliacciata. Ha sufficienti pragmatismo ed onestà politica per dire “stop” quando bisogna dire “stop”. Quando diviene evidente che un dibattito che avrebbe dovuto rafforzare il legame comunitario non fa che lacerarlo, spetta al presidente della Repubblica fare marcia indietro.

Non bisogna parlare di identità nazionale?

Si parli di ciò che si vuole. Ma sostenere che le persone abbiano, in questo paese, un problema con l’identità francese è una stupidaggine. Esse sanno ciò che significa essere francesi. Lo sanno molto bene. Ed una maggiore consapevolezza atterrebbe più all’asservimento che non alla liberazione. Perché le identità collettive devono essere leggere e non oppressive. Non devono rinchiudere i soggetti in soffocanti camicie di forza, bensì aiutarli, al contrario, a respirare.

E poi questo dibattito sta occultando la questione cruciale: quella dell’identità europea.

Intervista raccolta da Laure Equy, Libération, 21.12.2009
(traduzione di Daniele Sensi)