Bernard-Henri Lévy

Contributi al dibattito politico e culturale

Rifiutiamo la farsa di Durban II

Tutti si rammentano della famosa conferenza di Durban conclusasi, due giorni prima dell’11 settembre, nella città omonima, nell’Africa del Sud, sotto l’egida delle Nazioni unite.

Noi tutti conserviamo il ricordo del terribile spettacolo offerto, a Durban appunto, da quei rappresentati delle ONG che in teoria avrebbero dovuto stimmatizzare l’intolleranza ed il razzismo ma che, in realtà, convennero sul fatto che vi fosse un solo Stato razzista al mondo e che quello Stato fosse Israele.

Ad ogni modo io non posso dimenticare lo stupore e, ben presto, la disperazione delle delegazioni dei sopravvissuti al genocidio ruandese, dei militanti della democrazia zimbabwese, degli intoccabili indiani, dei Pigmei, dei superstiti dei massacri sudanesi…, quando realizzarono che la loro sorte non era d’alcun interesse per quei crociati del movimento altermondista che avevano fatto man bassa sulla conferenza e che , in materia di discriminazione, volevano vedere solo quei popoli le cui disgrazie potessero essere imputate all’Occidente in generale e agli “Americano-sionisti” in particolare.

Otto anni dopo, replica.

Dal 20 al 24 aprile prossimo, a Ginevra, nuova conferenza -chiamata Durban II- in cui si devono valutare, ci viene spiegato, i “progressi” realizzati dopo Durban I in materia di lotta contro il razzismo.

Salvo che tutto ciò che si sa dell’organizzazione di questa nuova conferenza, tutto ciò che è potuto filtrare attorno alle intenzioni del “Comitato preparatorio” presieduto dalla Libia, tutto ciò che si può leggere, soprattutto nel progetto di “Dichiarazione finale” già redatto da quella commissione con l’aiuto, in particolare, dei suoi vice.presidenti pakistani, cubano e iraniano –ah! che campioni di democrazia…- lascia presagire il peggio.

Israele messo sotto accusa come non mai, perché fondato, dicono, su un “apartheid”…

La critica delle religioni e, in particolare, dell’islam definita alla stregua di un “razzismo”…

L’iscrizione, altrimenti detto, del “delitto di blasfemia” tra i crimini maggiori che la comunità internazionale dovrebbe mettersi a stigmatizzare…

Senza parlare di come non dica una parola, questo progetto di Dichiarazione, né dello Zimbabwe di Mugabe, né del Darfur e dei suoi trecentomila morti, né di nessuna delle ecatombi di cui il mondo -e in particolare l’Africa- è, in questi stessi giorni, teatro, ma contro le quali i detentori dell’asse iraniano-libanese non erano di certo credibili nella parte di chi è disposto a darsi anima e corpo…

Questo è lo spirito di Durban II.

Questa è alla lettera il testo che, a partire dal 20 aprile, verrà sottoposto alla discussione.

E questa è dunque la trappola che si sta approntando e in cui si vorrebbero veder cadere i governi dei paesi democratici così come, giunti dal mondo intero, i militanti antirazzisti.

Allora, io so bene che una discussione è, per definizione, un luogo aperto.

E non ignoro che rimangono molti giorni, da qui al 20 aprile, per tentare di modificare un testo che tutti convengono nel ritenere inaccettabile.

Ma poiché il punto di partenza è quello, poiché lo zoccolo delle argomentazioni è quell’accozzaglia di pregiudizi, di odi e di silenzi, e poiché già si può presumere quale sarà il rapporto di forze in seno ad un Comitato preparatorio monopolizzato, lo ripeto, dai rappresentanti di Ahmadinejad e Gheddafi, non si vede come, per quanto emendata, la Dichiarazione che ci viene presentata potrebbe servire da Carta ad un’azione antirazzista mondiale concertata.

Ecco perché alla questione posta, lo scorso lunedì mattina, il 2 marzo, dal segretario di Stato Rama Yade ad un gruppo di intellettuali (bisogna andare a Durban II? bisogna, e fino a quale punto, battersi perché siano rispettate le “linee rosse” tracciate dalla diplomazia francese? o bisogna, come il Canada e, forse, gli Stati Uniti, rassegnarsi al boicottaggio?) io rispondo, personalmente, che sì, ahimé, la soluzione del boicottaggio sembra essere la più ragionevole, la più degna, e nello stesso tempo la più conforme alla vocazione della Francia.

La più conforme alla vocazione della Francia, perché è inconcepibile che il paese di Voltaire possa entrare nella spirale di un dibattito dove ai rappresentanti delle Chiese verrebbe riconosciuto il diritto di limitare la libertà di espressione e di coscienza.

La più degna, perché non è immaginabile -trentaquattro anni dopo l’"ignominia” (Michel Foucault) della risoluzione dell’Unesco che assimilava il sionismo ad una forma di razzismo- che la patria dei diritti dell’uomo possa consentire a che il legittimo dibattito politico sullo svolgimento, se non sull’origine, della guerra di Gaza si faccia stigmatizzazione globale, morale, unica nel suo genere, dello Stato ebraico.

E la più ragionevole, perché la lotta contro il razzismo è cosa troppo seria per poter essere lasciata nelle mani di un pugno di dittatori la cui principale preoccupazione è di far dimenticare le discriminazioni, le umiliazioni, le violazioni massicce dei diritti dell’uomo e della donna di cui i loro paesi sono teatro.

Nell’interesse stesso di questa lotta, nel rispetto della bella e nobile causa che è la causa antirazzista, in omaggio a tutti coloro che, da Fanon a Mandela, ne hanno definito lo spirito, bisogna rifiutare, senza indugio, con fermezza, e senza appello, la farsa di Durban II.

Bernard-Henri Lévy, Le Point, 5.03.2009
(traduzione di Daniele Sensi)