Bernard-Henri Lévy

Contributi al dibattito politico e culturale

Il Partito socialista deve sparire

Bernard-Henri Lévy reagisce, senza giri di parole, agli spasmi che negli ultimi giorni hanno scosso il Partito socialista. Per il filosofo, Martine Aubry è il guardiano di una “casa morta”, votata alla demolizione. E spera nella Royal (di cui è stato consigliere durante le presidenziali del 2007), in Valls o in Strauss-Kahn perché la sinistra rinasca sulle ceneri del socialismo.

L’uomo di sinistra Bernard-Henri Lévy è triste quando guarda il Ps?
Certo, sono triste. Raramente ho visto politici spendere tante energie nella propria autodistruzione. E non sarebbe nemmeno troppo grave se ciò riguardasse solo loro. Ma si tratta dell’alternativa a Nicolas Sarkozy, si tratta della speranza della gente. E questo Ps non incarna più la speranza di nessuno. Riesce a suscitare solo collera ed esasperazione.

Come ha votato alle europee?
Socialista, ovviamente. Cos’altro avrei potuto fare?

Avremmo creduto Cohn-Bendit, invece…
Sì, avrei potuto votare per Dany. Ma c’era quell’alleanza, a parer mio contro natura, con l’antiliberale Bové. Dunque ho votato Ps. Ma come tutti: per abitudine, senza crederci, e con la sensazione che si stesse tentando la rianimazione di un cadavere…

Il “grande cadavere riverso”?
Esattamente. Il libro ha due anni. Ma in due anni la situazione non s’è aggiustata. Il cadavere, sempre lui. Ma in decomposizione. Proprio la situazione descritta da Sartre nella prefazione a “Aden Arabia” da cui ho preso a prestito il titolo del mio libro.

Morboso!
No. E’ l’esatto stato delle cose. A che pro non guardare in faccia la realtà? Siamo alla fine di un ciclo. Il Ps è nella stessa situazione del Pc della fine degli anni 70, quando, a disintegrazione avviata, si cercava di scongiurarla tramite formule magiche tipo -già allora- “rifondazione” e “rinnovamento”.

Martine Aubry come Georges Marchais?
A questo stadio, non si tratta più delle qualità dell’uno o dell’altro. Aubry è in gamba, però il suo ruolo non può che essere quello del guardiano di una casa morta - lei non può farci nulla. Le parole, d’altronde, dicono tutto. Si parla del “richiamo all’ordine” di Manuel Valls. Richiamo all’ordine… Il socialismo che termina nella caporalizzazione…

Quindi il Ps sta per morire?
No. Il Ps è morto. Nessuno, o quasi, osa dirlo. Ma tutti, o quasi, lo sanno. E’ come il ciclista d’Alfred Jarry che pedalava nonostante fosse già morto. O come il cavaliere d’Italo Calvino la cui armatura era vuota. Il Ps è morto.

E le ne è felice?
Io penso soprattutto che bisogna dire le cose. Piaccia o no, bisogna dirle, prenderne atto, redigere l’atto di decesso – e far saltare questa cappa di piombo che impedisce di pensare, d’immaginare, di respirare e, ovviamente, di ricostruire. C’è una figura della sinistra morale di cui, forse, i vostri giovani lettori hanno dimenticato il nome. Si tratta di Maurice Clavel. Egli diceva, un tempo: per vincere la destra, occorre spezzare la sinistra.

Per molti il Ps rappresenta comunque il partito che li tutela, che amministra le regioni…
Vero. Ed è importante che le regioni siano ben amministrate, e da militanti che proteggano i deboli piuttosto che da darwinisti. Ma la politica non è questo. La politica è anche volontà di cambiare, un po’, il mondo. Ebbene, di questa volontà non c’è più traccia presso i rinoceronti di un Partito che pare stia lì per gestire, oltre alla regioni, ciò che Hannah Arendt chiamava “la derelizione del politico”.

Dunque, secondo lei, bisogna archiviare il Partito socialista?
Bisogna accelerarne la fine, sì, sicuro. Dissolvere. Finirla il prima possibile con questo grande corpo malato che, ironicamente, come il proletariato di un tempo, pare occupato a “negarsi in quanto tale”.

E come dissolverlo?
La storia, diceva Marx, ha più immaginazione degli uomini. Quindi tutti gli scenari sono possibili. Tutti. La sola cosa certa è che il Partito che fu di Blum e di Jaures sta perdendo ciò che gli rimaneva della sua anima – e deve sparire.

E quanto ai leader che non pensano che a se stessi e alla propria carriera?
Non è questa la cosa che scandalizza di più. Per lo meno lo scontro degli ego ha il pregio di fare scoppiare quelle contraddizioni che, solo esse, generano il dibattito. La politica sono anche i corpi. Memorie e idee – ma incarnate. Ciò che uccide il Ps non è l’eccesso, ma la mancanza di guerra intestina.

Nicolas Sarkozy dice che il Ps non sparirà…
Che crudeltà!

Sarkozy gioca un qualche ruolo in questa situazione?
Che se ne avvantaggi è evidente. Ma bisogna smetterla di cercare la pagliuzza nell’occhio del vicino quando si ha una trave nel proprio. Non è perché Sarkozy arruola dei socialisti che il socialismo muore. E’ perché il socialismo muore che Sarkozy può arruolare.

La questione del nome, socialista, è importante?
Evidentemente. Qualunque nominalista ve lo dirà: un nome, è più che un nome. E, su questo punto, Valls ha ragione: occorre, urgentemente, cambiare nome.

Solo il nome?
Il nome dice il resto. Chiamare male le cose, diceva Camus, significa accrescere la miseria del mondo. Chiamarle bene, invece, diminuisce la confusione, conduce all’essenziale. Ora, cos’è l’essenziale? Tre grandi rifiuti, da pensare insieme, non contraddittoriamente, perché sono l’identità stessa della sinistra. L’antifascismo. L’anticolonialismo. L’antitotalitarismo.

E l’uguaglianza?
E’ il punto di raccordo dei tre. Certo, l’uguaglianza. A quando risale il declino? Due cose hanno mascherato il fenomeno. La vittoria di Mitterand, e l’esaltazione che ne è derivata. E poi l’ascesa del Fronte nazionale che fece nutrire l’illusione di una identità “facile”. Ma, invero, il male stava lì.

Da quando?
Tutto è cominciato col declino del comunismo. Si era per. Si era contro. Ma ci si determinava in rapporto ad esso. Ragion per cui, quando l’astro è tramontato, quando non è più brillata che la luce delle stelle morte, è tutta la sinistra, tutta la galassia, che, a sua volta, ha cominciato a impallidire.

Il Ps non è stato nel campo dei nemici della libertà!
No. Ma quando il super-io marxista s’è scrostato, il Ps s’è lasciato infiltrare da una ideologia reazionaria, letteralmente reazionaria, da cui non è guarito.

Reazionaria in cosa?
Prendiamo la questione europea, con ritorno, da parte di taluni, allo sciovinismo dell’epoca di Jules Guesde. O l’antiliberalismo pavloviano, l’incapacità, come invece avviene nella sinistra italiana, per esempio, di saper distinguere tra il buon “liberalismo” (quello delle autonomie operaie, di Gavroche, delle lotte per un po’ più di libertà) ed il cattivo “liberalismo” (la legge del mercato applicata a tutto, compresa la cultura, la vita privata, la parte di segreto di ognuno di noi, ecc.). O ancora l’odio fobico per l’America che è, anche, un infallibile indicatore della discesa verso l’anti-illuminismo.

Ma il Ps segue Obama?
Lo rende un feticcio, è diverso. E si guarda bene dall’integrare ciò che Obama davvero rappresenta: un ritorno ai valori stessi del progressismo.

L’idea di primarie, per designare il candidato?
Senza primarie, Obama non sarebbe mai stato designato. Senza primarie alla francese, senza una vasta consultazione aperta, popolare, mai verrà avviato il processo che conduca ad un nuovo partito di sinistra che rompa con una macchina fatta per perdere.

Segolene Royal, di cui lei è stato consigliere, avrebbe potuto salvare il Ps?
Forse, al contrario, il Ps non sarebbe sopravvissuto alla sua vittoria.

E Valls?
Valls fa parte, come la Royal, come Strauss-Kahn, come altri, di coloro che possono essere all’origine del big bang e ricostruire sulle rovine.

Valls rivendica la fine del Ps, ma è in carrozza da talmente tanto tempo… Royal, Strauss-Kahn sono stati ministri sotto Mitterand…
Poco importa. C’è un vecchio aggeggio che si chiama dialettica e che ha la buona abitudine di fare i propri figli sul dorso degli attori della Storia. Ebbene la dialettica, al momento, è all’opera. La sinistra di domani, la sinistra moderna e reinventata, è ancora invisibile – ma c’è.

Intervista di Claude Askolovitch, Le Journal du dimanche, 19.07.2009
(traduzione di Daniele Sensi)