Bernard-Henri Lévy

Contributi al dibattito politico e culturale

Il video shock di Ahmadinejad «La nostra rivoluzione è planetaria»



«Un vero discorso di ispirazione fascista-messianica, perché seppur in modo diverso dal nostro in Europa quel mélange di culto della forza e di ossessione della purezza altro non è: fascismo». «Un chiaro annuncio del progetto di rivolgimento planetario e di esportazione della rivoluzione islamica nel mondo: terrificante». Bernard-Henri Lévy, noto filosofo e intellettuale francese, impegnato in politica nonché reporter, non ha dubbi sull'importanza del video appena uscito clandestinamente dall'Iran e di cui è venuto in possesso.

«Un documento straordinario» che riprende il presidente Mahmoud Ahmadinejad mentre arringa, con voce sommessa, una quindicina di religiosi iraniani in turbante bianco o nero, alla presenza del suo mentore, l'ayatollah oltranzista Mesbah Yazdi. «Ho deciso di mettere quel filmato sulla mia pagina di Facebook — spiega Lévy al Corriere — perché la gente deve sapere. E perché i giovani e l'opposizione in Iran non vanno lasciati soli in questo momento. È un atto di solidarietà come cittadino, anche se non so chi l'abbia ripreso, nè chi l'abbia inviato». Nel video, oltre dieci minuti di audio e immagini scadenti, probabilmente filmato di nascosto con il telefonino da un partecipante, Ahmadinejad sussurra con voce e occhi bassi rivolgendosi ai «cari» invitati, seduti a un tavolo ingombro di fiori e microfoni. Dice di essere a Qom, la città santa sciita dove risiede e predica Mesbah Yazdi (e molti altri ayatollah anche dell'opposizione, come Ali Montazeri o Yousef Sanei). Ringrazia i presenti per i «servigi» offerti, dice che questi serviranno a preparare finalmente una «grande vittoria, perché i tempi sono propizi». «Non sappiamo quando sia avvenuto l'incontro ma penso che fosse il 13 giugno, all'indomani delle elezioni — dice Lévy —. Quel ringraziamento riguarda i brogli che hanno hanno consentito al presidente di "vincere", anche se qualcuno tra i miei amici iraniani pensa sia precedente al voto e che il grazie sia invece per la preparazione delle elezioni truccate. Ma se i tempi sono ambigui, non lo è il resto: la "grande vittoria" di cui parla Ahmadinejad è la futura esportazione della rivoluzione islamica nel mondo che il presidente sogna da tempo. Un progetto terrificante. Un video che fa ancora più impressione di quelli sulle proteste a Teheran».

Nel consueto mix di Corano e politica, toni profetici e apparente umiltà, Ahmadinejad si dice in effetti certo che «la rivoluzione islamica ha ormai trovato la sua strada e un grande rivolgimento è iniziato: avrà dimensioni planetarie poiché il mondo ha sete di cultura musulmana, come diceva sempre l'Imam Khomeini». Il movimento, di cui lui si dice «solo uno dei partecipanti», ha una «forza immensa». «E se qualcuno pensa che l'organizzazione o le forze armate a nostra disposizione non siano sufficienti — continua Ahmadinejad sussurrando monotono — ebbene si sbaglia, poiché la logica comune non si applica a movimenti come questo, sostenuti dalla volontà e dalla misericordia divina». Se da un lato Ahmadinejad si dichiara certo del «sostegno di Dio», dall'altra chiede però ai presenti di fare il possibile per rafforzare il movimento: «Bisogna mobilitare tutti i potenziali intellettuali e manager per realizzare la legge e la giustizia dell'Islam e instaurare una società sul modello islamico nella nostra cara patria», dice, convinto come Yazdi che lo spirito della Repubblica Islamica in Iran si sia perso, e che prima di esportare la rivoluzione nel mondo si debba far pulizia in casa. Poi parla del popolo iraniano «che nel suo insieme non è malvagio» anche se «chi si basa su analisi e non su Dio non è certo un illuminato», e se «tutti quei giovani cresciuti in casa e a scuola non sanno niente dei grandi avvenimenti. Che noi, umani e maturi invece conosciamo». Discorsi che preludono a un golpe, come qualche commentatore iraniano su siti e forum sostiene?, chiediamo a Lévy. «Non saprei, difficile dirlo — risponde lui —. Ma di certo so che il regime è condannato. Se cercate in archivio gli articoli che il filosofo Michel Foucault scrisse proprio per il Corriere della Sera nel 1979, vedrete che dall'inizio delle proteste alla caduta dello Scià passò un anno. Ci volle del tempo allora, ce ne vorrà adesso. Ma alla fine accadrà».

Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera, 26.06.2009

Video: Appello alla gioventù iraniana





Qualunque cosa accada, nulla sarà più come prima a Teheran. Qualunque cosa accada, che la protesta divampi incontrollata o al contrario segni il passo, che finisca per trionfare o si estingua, terrorizzata dal regime, colui che d'ora in poi non merita altro che l'appellativo di presidente non eletto, Ahmadinejad, è destinato ad essere un presidente da strapazzo, illegittimo, in declino. Qualunque cosa accada, qualunque sia l'esito della crisi scoppiata quindici giorni fa per lo scandalo di una frode elettorale di cui non si può più seriamente dubitare, nessun dirigente iraniano oserà comparire sul palcoscenico mondiale, né presentarsi ai negoziati con Obama, Sarkozy, Merkel, senza essere circondato non già dall'aureola di luce sognata da Ahmadinejad, come disse durante il suo discorso alle Nazioni Unite nel 2005, bensì dalla nube sulfurea che appesta gli imbroglioni e i macellai. Qualunque cosa accada, l'ayatollah Khamenei, successore di Khomeini e, a tal titolo, guida suprema del regime, sarà costretto ad abbandonare il suo ruolo di arbitro, per essersi sfacciatamente schierato per una fazione contro le altre e avrà pertanto perso, anche lui, quel che restava della sua autorità: «Solo Dio conosce il mio voto», aveva ribattuto con prudenza, quattro anni fa, a quanti lo invitavano sin d'allora a denunciare i brogli. «Nel nome di Dio misericordioso, mi impegno a imbavagliare, massacrare e sciogliere ogni assembramento» ha risposto stavolta agli ingenui che si immaginavano che fosse lì per far rispettare la Costituzione. Qualunque cosa accada, il blocco degli ayatollah oggi ha messo in bella mostra le feroci divisioni che lo lacerano: da una parte, quelli che spalleggiano Khamenei e approvano la decisione di soffocare il movimento nel sangue; dall'altra, quelli che minacciano, come l' x presidente Rafsanjani, capo della potentissima Assemblea degli esperti, l'eruzione di un vero e proprio vulcano di rabbia, se non si terrà conto dell'ondata di proteste; e altri ancora, come il grande ayatollah Montazeri, confinato agli arresti domiciliari a Qom, che invoca il riconteggio dei voti e il lutto nazionale per le vittime della repressione. Per non parlare poi dei vertici religiosi dell'«Ufficio dei seminari teologici», che non temono più di formulare l' ipotesi, ieri ancora sacrilega, di dimissionare Khamenei per sostituirlo con un «Consiglio di guida». Qualunque cosa accada, e al di là delle schermaglie di apparato, il popolo si sarà per sempre dissociato da un regime dal fiato corto e colpito al cuore. Qualunque cosa accada, una gioventù che si credeva convertita ai principi dell' islam politico e che, stando ai resoconti, appena un mese fa, al ritorno da Ginevra di Ahmadinejad, pare avesse riservato al presidente non eletto un' accoglienza trionfale, questa gioventù ha già proclamato a gran voce di vergognarsi di un simile presidente. Qualunque cosa accada, ci saranno a Teheran, a Tabriz, a Isfahan, a Zahedan, a Ardebil, milioni di giovani che nel breve spazio di qualche giorno saranno diventati più grandi dei loro anni, come il timido Mousavi, e avranno compreso che si poteva sfidare un potere con le spalle al muro a mani nude, senza provocazioni né violenze. Qualunque cosa accada, si è verificato un avvenimento straordinario, il miracolo di un' insurrezione popolare che, nelle presenti circostanze, forte del suo mimetismo cieco e quasi inconsapevole di sé, come l' Angelo della Storia, pensa di andare in avanti mentre, in realtà, si guarda indietro. Un avvenimento che sembra riproporre, ma al contrario, le scene descritte trent'anni fa nelle stesse strade, da un Michel Foucault lontanissimo dall' immaginare che la vera rivoluzione era ancora a venire e che sarebbe stata l'opposto esatto di quella da lui narrata. Qualunque cosa accada, nel calore delle manifestazioni pacifiche si è forgiato un corpo politico che incarna un attore nuovo che fa il suo ingresso in scena e senza il quale non sarà più possibile scrivere la storia successiva della nazione. Qualunque cosa accada, il bel viso di Neda Soltani, uccisa a bruciapelo lo scorso sabato per mano di un sicario dei Basij, come pure le immagini dei ragazzini pestati a morte dagli squadroni dei guardiani della rivoluzione e degli acrobati in motocicletta, i video dei cortei sconfinati, impressionanti per la calma e la dignità, avranno fatto grazie a Twitter il giro del cyberpianeta e pertanto del mondo intero. Qualunque cosa accada, il re è nudo. Qualunque cosa accada, il regime degli ayatollah è condannato, a breve o lungo termine che sia, a scendere a patti o a scomparire. Si dimentica sempre che l' altra rivoluzione, la prima, quella che trent' anni fa mise in piedi questo nazional-socialismo all' iraniana, durò quasi un anno intero: perché mai dovrebbe essere altrimenti per questa di oggi, democratica, rispettosa della legalità, che muove i primi passi? La terra trema a Teheran e scommetto che siamo solo all' inizio.
(traduzione di Rita Baldassarre)

Con il popolo iraniano, come non mai

Enorme truffa elettorale o no?

Nuova forma di colpo di stato o no?

E come interpretare queste strane elezioni i cui risultati sono stati annunciati dalla stampa legata ai servizi segreti e alle milizie filogovernative ancor prima che gli scrutini fossero terminati? Vista l’assenza di osservatori internazionali, visto che gli scrutatori inviati dagli oppositori di Ahmadinejad sono stati cacciati dai seggi a colpi di manganello, e considerato il clima di terrore in cui le elezioni si sono svolte, è difficile pronunciarsi con certezza. Ma tre cose, ad ogni modo, restano certe.

La prima è che queste elezioni sono state democratiche solo in apparenza. Mir Hossein Moussavi, il principale rivale di Ahmadinejad, è anche lui figlio del sistema. A proposito del “diritto” dell’Iran al nucleare, le sue posizioni non differiscono di molto da quelle di Ahmadinejad. Inoltre, interrogato sulle dichiarazioni negazioniste dell’avversario, Moussavi non ha esitato a dichiarare: “Ammettendo che ci sia stato lo sterminio degli ebrei in Germania (si noti la sottigliezza di quell’ammettendo che...), cosa avrebbe esso a che fare con il popolo oppresso della Palestina, vittima di un olocausto a Gaza (questo dice tutto...)?”. In altre parole, non ci troviamo di fronte ad un Gorbaciov iraniano. L’uomo che possa osare una vera perestroika resta inconcepibile, e inesistente, in una repubblica islamista ad oggi più blindata che mai. E gli osservatori che commentavano l’"alternativa" proposta da un uomo, Moussavi appunto, già primo ministro di Khomeini, oltre che direttore onnipotente dell’equivalente iraniano della Pravda, peccavano per ingenuità - un po’ come quelli che, ai tempi della trionfante Unione Sovietica, discettavano sulle impercettibili lotte tra fazioni in seno a un apparato maestro, anch’esso, nell’orchestrare la propria commedia. È un dato di fatto.

L’altro fatto certo, peraltro, è il desiderio di cambiamento di una parte non indifferente, forse addirittura maggioritaria, della società iraniana. Gli elettori esasperati che vediamo, da domenica, sfidare i paramilitari delle milizie... Le donne che, a Teheran ma anche a Isfahan, Zahedan e Shiraz, reclamano l’uguaglianza dei diritti... I giovani, collegati tutto il tempo alla Rete e che hanno fatto di Facebook, di Dailymotion e del sito “I love Iran” il teatro di una guerriglia ludica ed efficace... I conducenti di taxi, araldi della libertà di espressione... Gli intellettuali... I disoccupati... I mercanti dei bazar in rotta contro un governo che li manda in rovina... In breve, i ribelli contro gli imbroglioni. I blogger e i burloni contro i sepolcri imbiancati dell’apparato militare islamista. L’autore anonimo della battuta che, rimbalzata tramite sms su milioni di cellulari, a quanto pare diverte i manifestanti: “Perché Ahmadinejad si pettina con la riga in mezzo? per separare i pidocchi maschi dalle femmine”... Tutti costoro hanno votato per Moussavi. Ma senza farsi illusioni. In mancanza di meglio. Come i polacchi di Solidarnosc che, negli ultimi anni del comunismo, autolimitavano la loro rivoluzione in attesa di vedere il regime autodistruggersi e sparire.

La terza certezza, infine, è che l’iniziativa, all’improvviso, torna più che mai nelle mani delle democrazie. Delle due l’una, infatti. O vincono i partigiani della realpolitik, ci rassegniamo davanti al presunto verdetto delle urne e ratifichiamo il peggio, come quel ministro degli Affari esteri francese che, nel 1981, al momento del colpo di Stato contro Solidarnosc, pronunciò il suo famoso “Sia chiaro che noi non faremo nulla”. Oppure, davanti a un Paese diplomaticamente isolato, davanti a un regime nella cui caduta sperano, più o meno esplicitamente, tutti gli Stati confinanti, davanti ad un’economia esangue incapace persino di raffinare il proprio petrolio, decidiamo di ricorrere ai mezzi che abbiamo a disposizione e che sono molto più numerosi di quanto si pensi.

Eviteremo così la doppia catastrofe che sarebbe, da un lato, l’inasprimento della repressione, forse addirittura un bagno di sangue a Teheran, e, dall’altro, l’inevitabile rafforzamento di uno Stato jihadista che rappresenterebbe un terribile pericolo per il mondo, dotato com’è di un arsenale nucleare che -non ne ha mai fatto mistero- non esiterebbe a mettere immediatamente al servizio dell’Imam nascosto e della sua apocalittica riapparizione.

Da queste tre certezze, prese insieme, scaturisce un obbligo chiaro: fare di tutto per aiutare e rafforzare la società civile iraniana in rivolta. L’abbiamo fatto, un tempo, con l’URSS. Abbiamo finito col comprendere, dopo decenni di vigliaccheria, che, giunto ad un certo stadio di putrefazione, il totalitarismo traeva la propria forza solo dalle nostre debolezze. E noi abbiamo saputo organizzare catene di solidarietà con coloro che venivano definiti dissidenti e che alla fine trionfarono sul sistema. In Iran esiste l’equivalente di quei dissidenti. Questi sono persino -lo stiamo scoprendo in queste ore- infinitamente più numerosi e potenti. E’ loro che occorre sostenere. E’ loro che bisogna incoraggiare. La “mano tesa” di Obama? Possa essa essere anche tesa in direzione di questa gioventù, onore di un popolo che ha dato i natali ad Avicenna, Razi, al-Ghazali, Rumi e tanti altri. È questa la posta in gioco.

Bernard-Henri Lévy, Le Point, 18.06.2009
(traduzione di Daniele Sensi)