Nessuno sa a che punto sarà, quando queste mie righe verranno pubblicate, il ritiro delle truppe russe dalla Georgia. Ma da questa aggressione è possibile, fin da ora, trarre le lezioni e le conclusioni seguenti.
1. La straordinaria brutalità del potere russo nell’era post-sovietica. La si era già vista, questa brutalità, all’opera in Cecenia. Ma il meno che si possa dire è che essa sia stata confermata – per quanto, naturalmente, su scala minore – dallo spettacolo di un esercito  che invade  un paese sovrano dove prende  a muoversi  così, a suo piacimento, avanzando o indietreggiando secondo i propri comodi e che distrugge, già che c’è, davanti al mondo sbigottito, le infrastrutture militari e civili della  giovane democrazia. Oggi la Georgia. Perché non l’Ucraina, domani? O, in virtù dello  stesso argomento della solidarietà con  russofoni “perseguitati”, i paesi Baltici? la Polonia?
2. La non meno strana indifferenza alle proteste, agli ammonimenti, alle messe in guardia internazionali. La  Guerra Fredda aveva le proprie  regole e i propri  codici. Era il regno dei segni e della loro sapiente  interpretazione. Era come un’ermeneutica mezza bellicosa  e mezza pacifica in cui si passava il proprio tempo a reagire a quelli che  Michel Serres chiamava i “fuochi e segnali di bruma” emessi dall’avversario. In questa guerra fredda di nuovo tipo, niente più segnali. Niente più  codici. Uno sberleffo volgare  e  permanente   all’indirizzo di “messaggi”  che si sa non saranno  seguiti  da alcun effetto e  ai quali si decide dunque di  non dar alcun peso.  Non è forse  nel momento stesso in cui Condoleezza Rice era a Tbilisi che Putin, con una sfrontatezza impensabile nel mondo di ieri, ha scelto di avanzare fino a Kaspy, a quaranta chilometri dalla capitale?
3. L’inimmaginabile faccia tosta  ideologica di quella gente. Il  modo, per esempio, di brandire il “precedente” del Kosovo: come se ci fosse paragone tra il caso di una provincia serba tormentata, martirizzata, distrutta da una purificazione etnica abominevole,  e la situazione di un’Ossezia vittima di un “genocidio” che, stando alle ultime notizie (rapporto dell’Human Rights Watch), avrebbe causato… 47 morti! O il modo di rigirare  a proprio vantaggio e a quello delle stesse minoranze russofone, che si vorrebbe, di fatto,  ricondurre nel girone dell’Impero, l’argomento del “dovere d’ingerenza”: giustificare lo scempio, a Gori e altrove, dell’armata russa e delle sue milizie, in nome di quel grande  e bel principio , caro al ministro degli Esteri francese -e non solo- … Bisognava  osare! bisognava farlo e pensarci ! ebbene,  il signor Putin ha osato… il signor  Putin l’ha fatto e l’ha pensato… il signor  Putin, medaglia d’oro alle Olimpiadi del capovolgimento del senso e del cinismo…
4. L’inquietante debolezza, di fronte a questo nuovo dispositivo retorico e politico, della diplomazia occidentale, compresa,  ahimè, quella francese. Da una grande democrazia ci si aspettava che  condannasse e sanzionasse  l’aggressore – e che lo facesse senza mezzi termini. Invece si è fatto il contrario. Si è colpito  l’aggredito. Si è fatto cedere, non il forte, ma il debole. Come tredici anni fa, a Dayton, quando il bosniaco Izetbegovic dovette firmare, con la morte  nell’anima, l’accordo che consacrava lo smembramento del  suo paese, il georgiano Saakachvili è stato costretto  ad incassare  un documento  che dai russi stessi è indicato sempre come  “documento Medvedev”. Non una parola, in questo documento, sull’integrità territoriale del paese… E le famose “clausole  addizionali di sicurezza” che riconoscono  all’esercito  russo  un diritto di stazionamento e di pattugliamento tanto scandaloso nel suo principio quanto  nelle sue modalità di applicazione… Il mondo al contrario! Par  di sognare”
5. E poi la sconcertante facilità, infine, con la quale le opinioni pubbliche occidentali si sono  bevute la tesi avanzata, fin dal primo giorno, dagli apparati di propaganda del Cremlino. Si sa, oggi , che l’armata russa aveva moltiplicato, già prima dell’8 agosto, i preparativi di guerra, si sa che aveva ammassato, alla “frontiera” fra  Georgia e Ossezia, una considerevole  logistica militare e paramilitare. Si sa che essa aveva metodicamente riparato le ferrovie su  cui dovevano passare i treni merci per il trasporto di  truppe e si sa che 15 carri avevano attraversato, la mattina dell’8, il tunnel Roky che separa le due Ossezie. Nessuno può ignorare, altrimenti detto, che il presidente Saakachvili  si è deciso ad agire solo  perché non aveva atra scelta  giacché si era già in guerra. Ora, malgrado ciò, malgrado tutti questi  fatti che sarebbero dovuti saltare agli occhi  di ogni  osservatore in buona fede, molti dei  nostri media si sono gettati  come un sol uomo sulla tesi del Georgiano  guerrafondaio, provocatore e irresponsabile. Snervante…
6. Bisognerà tornare su tutto questo. Bisognerà analizzare in seguito  i meccanismi di una cecità che, se non facciamo attenzione,  potrebbe  perpetuare quel  “declino del coraggio” denunciato un tempo da Soljenitsyne e che si pensava appartenesse  alle epoche andate. Per il momento, sia concesso ad un  cronista  che si è preso la briga di  andare a vedere di persona e di testimoniare, di ripetere qui: "SOS Georgia! SOS Europa! la ragione, non meno che l’onore, ordina di correre, più che mai, in soccorso dell’Europa a Tbilisi.”
Bernard-Henri Lévy, Le Point, 28.08.2008
(traduzione di Daniele Sensi)
 
 
 
 

1 commenti:
Tank georgiani entrano in una Tchkinval deserta e sparano contro obiettivi civili, filmando il divertimento con un telefonino:
http://it.youtube.com/watch?v=it_T60OY9bc&feature=related
Altro che propaganda del Cremlino... Andateci voi a farvi ammazzare per questa gente...
Posta un commento