Bernard-Henri Lévy

Contributi al dibattito politico e culturale

Per ricordare Simone de Beauvoir

Occorreva rendere omaggio a Simone de Beauvoir.

A fronte di una posterità che è quel che è, ingiusta e capricciosa, che mischia tutto e il contrario di tutto, che si perde in inutili quisquilie, che ci infligge fino alla nausea le sue figure imposte della commemorazione del Maggio 68, e che poi tratta i morti come se questi non avessero perso niente della loro temibile e viva virulenza (sebbene ciò non sia necessariamente una cattiva cosa), occorreva una celebrazione all’altezza di questo centenario da una nascita che sembra, al momento, lasciarci freddi.

Les Temps modernes, che furono la sua rivista almeno quanto lo furono per Sartre, lo fanno in un numero speciale su iniziativa di Claude Lanzmann e di Liliane Kandell.

E questo numero doppio, questa "Trasmissione Beauvoir", questa collezione di testimonianze, di ricordi non pietosi e di analisi storiche - talvolta davvero fini- , è una delle buone notizie della settimana.

Omaggio alla liberatrice, sicuro, all’emancipatrice del "secondo sesso", all’ispiratrice, in fondo, della sola rivoluzione riuscita del ventesimo secolo.

Omaggio alla donna grazie alla quale tutte le donne sono –ovunque nel mondo, anche sotto il burka o con le catene ai piedi- un po’ più donne, un po’ più libere, un po’ più indipendenti di quanto non sarebbero senza di lei e del suo libro.

Omaggio a colei –come dice uomo, Philippe Val, in uno dei primi testi del numero- che affossa una buona volta, con Freud e prima che tutto il pensiero moderno si appropri del suo gesto, lo spettro di Madame Bovary, le sue isterie, il suo mal di donna, la sua sofferenza, tutte cose che si credevano fondate in natura, eterne.

Omaggio a quel divenir-donna che ha fatto sì –racconta Josyane Savigneau- che tante ragazze della sua specie abbiano, negli anni 60, 70 o persino 80, osato rivoltarsi, pensare, giusto esistere e, in grazia di un altro libro, "Memorie di una ragazza perbene", del quale si tende a dimenticare la prodigiosa insolenza di cui il titolo stesso era carico, trasformare in "destino" la loro "situazione".

Omaggio alla resistente, e sì! nel senso stretto di resistente, nel senso della sola Resistenza che valga e che fu quella della lotta contro i nazisti: sono state scritte tante stupidaggini a proposito, tante calunnie sono circolate ed alcune si sono pure imposte, che è un piacere ora leggere, per mano dell’ultima sopravvissuta, Dominique Desanti, un resoconto dettagliato degli obiettivi, dei metodi, dei rischi corsi da quel gruppo di intellettuali antifascisti –chiamato dapprima "Sotto lo stivale" poi "Socialismo e Libertà"- di cui Sartre e Beauvoir furono l’anima.

Omaggio all’amante, anche, alla donna di charme – omaggio alla donna libera, curiosa delle cose d’amore, appassionata, che chiamava Claude Lanzmann suo "marito" e di cui questi racconta, in un bel testo d’apertura, la grazia nella vita di tutti i giorni.

Bisognerebbe citare tutto di questo numero.

Bisognerebbe mostrare come sia, ogni volta, un cliché che meritatamente si riduce in briciole: il cliché dell’intellettuale d’accordo ma, per favore, non una scrittrice, la sua prosa è così mediocre (si veda il richiamo, di Eliane Lecarme-Tabone, alla dimensione propriamente letteraria del "Secondo sesso"); quello dell’ignorante che sarebbe passata, come il suo compagno, a fianco della psicanalisi e dei suoi avanzi (si vedano le pagine dove Eisabeth Roudinesco mostra come Lacan stesso, nei suoi testi del 1958, non disdegnava di appoggiarsi, sebbene senza dirlo, e non fosse che per contraddirla, alla concezione beauvoiriana della sessualità e del desiderio); quello, come per Sartre, di nuovo, dell’intellettuale che si è sempre sbagliata e che si è gettata capo e piedi nella trappola totalitaria (leggere, assolutamente, il testo di Chahla Chafiq che narra come, a partire dal 1979 in Iran, l’autrice de "L’invitata" prenda atto dell’orrore, in particolare per le donne, di ciò che alcuni allora chiamavano la "rivoluzione spirituale" khomeynista); e poi il cliché, infine, di un’insurrezione femminista irresistibile, necessaria, che si sarebbe prodotta ad ogni modo e di cui lei non avrebbe raccolto che la fiaccola (mentre ciò che appare è, al contrario, la straordinaria solitudine di quella che venne chiamata la "Entesilea di Saint-Germain-des-Prés", l’incomprensione di cui fu oggetto persino tra i ranghi dei partiti detti di sinistra o delle presunte associazioni femministe, insomma, il suo eroismo speculativo...).

Ah, quanto è stata detestata questa donna!

Con quale accanimento si è voluto, ovunque, spegnere la luce della sua scia!

E con quale disinvoltura, nel migliore dei casi, la si è trasformata in non so quale controfigura di un compagno di cui io sarò l’ultimo, ovviamente, a contestare il genio - ma bisogna ridurla, lei, tuttavia, al rango di umile serva di un’avventura a lei superiore?

Beauvoir, qui, in quanto tale.

Beauvoir propriamente detta, e ricondotta alla sua vera dimensione.

Il mondo, al contrario, visto secondo il beau voir , il belvedere, di questa intellettuale a parte restituita all’integrità del suo valore.

Una volte per tutte.

Bernard-Henri Lévy, Le Point, 8.05.2008
(traduzione di Daniele Sensi)