Bernard-Henri Lévy

Contributi al dibattito politico e culturale

Boicottaggio, sì. Islam e Islam. Il “Don Giovanni” di Scarpitta

Bene, benissimo, questa mobilitazione in favore dei Tibetani. Ma che ne é della Birmania dove lo stesso genere di soldataglia, appoggiata dallo stesso potere cinese, non ha, che io sappia, deposto le armi e di cui nessuno parla? Che ne è dei diritti dell’uomo all’interno della Cina stessa, questo paese-mondo schiacciato dallo stivale della dittatura, questo impero della miseria e della violenza che, ci veniva detto, i Giochi Olimpici avrebbero avuto il merito di aprire alla democrazia mentre è il contrario, l’esatto contrario, ciò che si sta producendo (caccia agli ultimi poveri, ai clochard, agli irregolari di ogni tipo e ai rari dissidenti - ben capaci, queste carogne, di guastare a Hu Jintao la sua grande parata mondiale)? E cosa ne è, alla fine, del Darfur che sembra, lui, chiaramente uscito dai nostri schermi mentali e dove, mentre scrivo, gli stessi Janjawid, appoggiati dalla stessa aviazione sudanese, essa stessa equipaggiata e benedetta dallo stesso Hu Jintao, stanno portando a termine lo sporco lavoro di purificazione etnica e di terra bruciata cominciato quattro anni fa? Per queste tre ragioni –quattro con il Tibet- era una cattiva idea organizzare questi Giochi in uno dei paesi del mondo dove i valori olimpionici, i suoi ideali di umanesimo e di fratellanza, sono il più sistematicamente traditi. Per queste tre ragioni –quattro con il Tibet- dovremo vergognarci, un giorno, d’aver fatto questo regalo immenso all’ultimo grande Stato totalitario del pianeta. E per queste tre ragioni –quattro con il Tibet- bisogna, checché ne dicano i vigliacchi, fare di tutto perché da un male derivi un bene e perché la minaccia, dico proprio minaccia, del boicottaggio obblighi i Cinesi, su questi quattro teatri, a ravvedersi. Boicottaggio puro? Boicottaggio delle cerimonie? Boicottaggio, da parte degli sportivi, della parte di commedia prevista? Poco importa. Tutto va bene. A condizione, naturalmente, che l’intenzione sia ferma e la minaccia credibile.

Visto, sulla Rete, il famoso "Fitna", quel piccolo film anti-islam realizzato dal deputato di estrema destra olandese Geert Wilders e che si temeva potesse suscitare la collera della comunità musulmana dei Paesi-Bassi. La verità è che questo film non vale niente. E’ volgare e inutile. E la suddetta comunità musulmana ha avuto la saggezza, ed il sangue freddo, di trattarlo come merita – cioè con disprezzo. Ciononostante, tuttavia, esso rende un vero servizio. Perché permette di distinguere, nel dibattito attuale sull’islam, ciò che è privo di valore da ciò che non lo è ; ciò che è volgare da ciò che non lo è affatto; ciò che aiuta a far progressi da ciò che, al contrario, non fa che radicalizzare gli odi e gettare fuoco negli spiriti. Il principio, infondo, è semplice. Se questo film è detestabile è perché, non fosse che per il montaggio che alterna sure coraniche ad immagini splatter, esso designa il Corano, in quanto tale, come fonte della barbarie – tesi completamente idiota e che, oltretutto, non lascia altra scelta che quella dello scontro. Un buon film sull’islam sarebbe quello che, all’inverso, facesse la cernita, nel senso proprio di critica, tra ciò che, all’interno del testo e delle pratiche che si sono istituite dopo di lui, è, in effetti, fonte di violenza e ciò che, al contrario, va in direzione della pace e dell’elevazione delle anime – il tipo di lavoro, né più né meno, che hanno sbrigato nel passato, con il loro proprio testo santo, gli ebrei e i cristiani. Islam moderato contro islam radicale? Islam dei Lumi contro quella caricatura dell’Islam che è l’islam integralista? Eccola, la grande questione di questi tempi. Il solo scontro di civiltà che valga.

Nel registro dei buoni piaceri della settimana –perché ce ne sono, per fortuna!- le prime rappresentazioni, a Montpellier, del "Don Giovanni" messo in scena da Jean-Paul Scarpitta. (...) Altri hanno sottolineato la sobrietà della messa in scena. La sua dimensione strehleriana, nero e bianco, riflessi di riflessi, voci e echi, tombe e oltre-tombe. Al di là delle nuvole – effetti farfalla come davvero solo il teatro può produrne e come infatti se ne producono, in questo caso, ad ogni cambiamento di scena. Ciò che a me ha interessato di più, tuttavia, è l’interpretazione data dal personaggio e dai suoi impulsi. Romantico. Sentimentale. Non più -o non più solo- quel gran signore d’un uomo malvagio che, da Tirso di Molina a Montherlant passando da Baudelaire, Byron, Musset, Pushkin e, naturalmente, Mozart stesso, l’insieme della tradizione concorda nel descrivere e maledire. Questo Don Giovanni qui è sentimentale, direi. Attento alle emozioni degli altri ed alle sue. Sorpreso del turbamento che suscita e che a sua volta prova di rimando. Meno predatore che curioso. Meno cinico che prodigo. Sconvolto, non dal male, ma dal bene che pure lui compie. Libero, evidentemente. Immensamente, disperatamente, libero- fino al "viva la libertà" finale, intonato alle porte dell’inferno.

Bernard-Henri Lévy, Le Point, 3.04.2008
(traduzione di Daniele Sensi)