Bernard-Henri Lévy

Contributi al dibattito politico e culturale

Su di un certo antisarkozismo...

Domenica. Breve annuncio sul canale LCI. Un sotto-prefetto di Charente-Maritime è stato dimesso dalle sue funzioni su istruzione del ministro degli Interni, Michèle Alliot-Marie. Motivo? L’essere venuto meno al dovere di riservatezza, regola per i servitori dello Stato. E ciò a causa di un "punto di vista" rilasciato al giornale on-line Oumma.com secondo il quale Israele sarebbe il solo Stato al mondo i cui i tiratori scelti abbattono le bambine all’uscita da scuola ed i cui centri di tortura, per via dello shabbat, fanno pausa il sabato. Ritornello conosciuto. Nulla di nuovo sotto il sole dell’insondabile stupidità politica. Salvo che questo psicotico passaggio all’atto proviene, ed è una novità, da un alto funzionario della Repubblica. E salvo che l’alto funzionario ha scelto, per rompere il suo dovere di riservatezza, non un grande quotidiano, una rivista, una radio, ma l’organo ufficiale dei Fratelli musulmani in Francia e, in particolare, di Tariq Ramadan.

La notte passa. L’affare mi ronza in testa. Perché non si tratta solo di Oumma. Ma pure del nome dell’uomo, che, anch’esso, mi dice qualcosa. Guigue... Sotto-prefetto Bruno Guigue... Cerco tra i miei ricordi. Sollecito l’amico Google. E, ben presto, mi ricordo: ma sì, sicuro! sempre quel Guigue che, al mio ritorno dal Darfur, aveva consegnato allo stesso Oumma un articolo particolarmente avvelenato su di me (la qualcosa non è poi grave) e sulla tragedia dei Darfuriani (e questo è , evidentemente, più importante). La coincidenza è quasi troppo bella. Perché è come una dimostrazione in laboratorio della mia vecchia tesi sull’effetto accecamento prodotto, immancabilmente, dalla monomania antisionista. Perché non si sentono mai gli avversari di Israele sul Tibet? sulle guerre dimenticate d’Africa? sulla Bosnia, quindici anni fa? perché si accaniscono, oggi, a negare il martirio del Darfur? Ebbene ecco. La prova la fornisce Guigue. Un martirio non interessa queste persone se non quando è questione di Israele o, cito, del suo servo americano. Un massacro dove né Israele né gli Stati Uniti siano coinvolti non gode, nella galleria dei cliché che costituisce la loro visione del mondo, che di una esistenza di secondo genere.

Nella mia frenesia, navigando di sito in sito, mi imbatto in tutta una nebulosa di altri siti che accorrono in difesa del "coraggioso" funzionario sanzionato. Non li nominerò, questi siti. Non voglio far loro pubblicità e dunque non li nomino. Ma ciò che scopro è – nuova sorpresa- che essi sono, in effetti, molto numerosi; che, dal rosso (no-global) al bruno (Fronte nazionale e affiliati) o al verde (islamista radicale), coprono l’essenziale dello spettro del peggio; e che si accordano tutti, di fatto, su una rappresentazione articolata in tre proposizioni tanto deliranti quanto semplici. Israele è uno Stato nazista. Il mondo è organizzato per dissimulare questa verità. E il cervello di questo complotto, il suo direttore d’orchestra clandestino, il vero agente dei neri disegni dell’eterna "Internazionale giudaica", si scopre essere qui, a Parigi, giusto dalle parti al disopra di Alliot-Marie che non sarebbe, con Kouchner, Attali e altri nuovi "Ebrei Süss" (cito sempre la stessa amena letteratura), che uno strumento docile tra le sue mani – questo ebreo vergognoso, nascosto, canonizzato, ma smascherato, non sarebbe altri che... Nicolas Sarkozy stesso!

Ripenso, ad un tratto, a quei siti antisemiti che si scatenarono, durante la campagna elettorale, sul ritornello del "Tutto tranne Sarkozy", denunciati da Liliane Kandel, membro del comitato di redazione di Tempi Moderni. Riprendo il libro, apparso, questo, dopo le elezioni, in cui il filosofo Alain Badiou, pretendendo richiamarsi a Freud (povero Freud!), non chiama più il presidente con il suo nome ma "l’uomo dei ratti", giusto "l’uomo dei ratti", come nei film di propaganda che davano nei cinema sotto l’Occupazione. Penso a tali segni, minuscoli senza dubbio, derisori, ma che vanno dagli attacchi personali ( in particolare sul fisico) ad un tipo di aggressione che non ci si era concessi nei confronti di nessuno dei suoi predecessori (l’affare dell’SMS) nel programma dei "Guignoles de l’Info", dove ora gli affibbiano (se ne saranno loro stessi accorti?) l’accento dei commedianti della "La verité si je mens". Metto tutto questo in fila. E finisco per dirmi che siamo di fronte , lo si voglia o no, a qualche cosa di sintomatico: non più di cosa Sarkozy ma di cosa l’antisarkozismo è il nome?

Dio sa se ci sono buone ragioni per opporsi a questo governo. L’immigrazione. La legge sulla ritenzione di sicurezza. Il discorso di Dakar. Gi slittamenti, à Riyad o in Vaticano, su quella pietra angolare della Repubblica che è l’idea di laicità. La parola tradita sui Ceceni, sui Tibetani, sulla democrazia in Russia, sui diritti dell’uomo in generale. Non bisogna cedere di un passo in nessuno di questi terreni. In nessuno di essi bisogna lasciarsi intimidire. Ma ragione in più per non tollerare che venga superata la linea gialla che separa il vero dibattito dall’ingiuria alla persona e al nome. Credo di essere stato uno dei primi, ben prima dell’inizio della campagna, a denunciare, in queste colonne, la demonizzazione di cui cominciava ad essere fatto oggetto il futuro candidato. Ebbene, allo stesso modo, oggi, metto in guardia contro i tanfi fetidi che di nuovo sembra liberare, al lato destro come a quello sinistro, l’inebetito odio per l’oramai capo dello Stato.

Bernard-Henri Lévy, Le Point, 27.03.2008
(traduzione: Daniele Sensi)