Bernard-Henri Lévy

Contributi al dibattito politico e culturale

Il Tibet, la Cina e l'arma del boicottaggio

I Giochi olimpici, ci dicevano, avranno per effetto automatico di aprire la Cina al mondo e, dunque, alla democrazia – i Cinesi, sapendosi osservati, scrutati come non mai, avranno a cuore di offrire un’ immagine decente di se stessi e del loro regime.

La verità obbliga a dire che, per il momento, si è verificato proprio il contrario.

Dalle città sono stati espulsi i poveri e gli improduttivi.

É stata accelerata la distruzione degli hutong, i quartieri popolari del centro di Pechino.

Si è così moltiplicato il numero dei senza tetto che, ammucchiandosi nelle bidonville senza una vera politica di ricollocazione abitativa, hanno accentuato il fenomeno della miseria urbana, dell’insalubrità, contro cui si pretendeva lottare.

Migliaia di possibili dissidenti sono stati imprigionati, sovente senza processo.

In base all’articolo 306 del Codice penale del 1997 che permette di incarcerare ogni avvocato sospettato di "alterare o distruggere delle prove", sono stati arrestai, sequestrati, messi fuori scena, i più coraggiosi dei loro difensori.

É stata fatta pulizia nella stampa.

Sono state acquistate dal francese Thales antenne paraboliche allo scopo di rinforzare la grande muraglia di quelle onde che disturbano le trasmissioni in cinese delle radio anglosassoni.

Le sommosse si sono moltiplicate nella campagne, senza che la stampa locale se ne sia fatta portavoce.

Il ritmo delle esecuzioni capitali non sembra sia diminuito – senza che ciò scandalizzi più di tanto una stampa internazionale nondimeno libera, lei, di scrivere ciò che le pare.

Il traffico degli organi prelevati dai corpi dei suppliziati non è praticato meno di prima.

Nell’insieme del paese non rimangono meno campi di lavoro di quelli registrati dalla Laogai Research Foundation.

In breve, l’effetto "rifacimento di facciata" o non è stato di alcuna portata , o, al contrario, ha prodotto l’unico risultato concreto di intensificare le violazioni dei diritti dell’uomo.

Ed ecco che in Tibet si è scatenata la più brutale repressione che la "Regione autonoma" abbia conosciuto dopo quella condotta, diciotto anni fa, qualche mese dopo Tienanmen, dall’attuale presidente cinese, Hu Jinto, che lì guadagno la sua reputazione di uomo di ferro e i suoi galloni nel Partito.

Quali sono le circostanze esatte di questa nuova repressione?

E che credito bisogna accordare alla logorrea ufficiale sul "secessionismo" tibetano e sulla volontà dei suoi capi spirituali di utilizzare la cassa di risonanza del periodo preolimpionico per fare sentire, infine, la loro voce?

Infondo, poco importa.

Perché ciò che importa è che, come diciotto anni fa, si è freddamente sparato sulla folla.

Perché ciò che importa è che la capitale, Lhassa, è, nel momento in cui scrivo, trasformata in zona di guerra, suddivisa in scacchiera militare da forze di polizia e blindati, isolata dal resto del mondo.

E ciò che importa è che i Cinesi hanno mostrato, nella circostanza, la loro sovrana indifferenza agli stati d’animo di un Occidente che disprezzano – ciò che importa è che istruiti dalla nostra pusillanimità ai più duri dei massacri nel Darfur e delle violenze in Birmania, hanno compreso, o creduto di comprendere, che noi non ci saremo mossi di più se avessero messo il Tibet a ferro e fuoco.

Di fronte a un tale cinismo, io persisto a pensare che ancora una volta sia tempo –e si è ancora in tempo- di tenere quel linguaggio di fermezza che a parer loro noi saremmo troppo vigliacchi – o, forse, da loro troppo dipendenti – da osare articolare.

Io persisto a dire che non è troppo tardi per utilizzare l’arma dei Giochi al fine di esigere, come minimo, che smettano di uccidere e che applichino alla lettera – in materia, segnatamente, di rispetto delle libertà – le disposizioni della Costituzione sull’autonomia regionale tibetana.

Pechino non cederà? i boicottaggi, in generale, non funzionano mai? Andiamo, caro Robert Badinter. Finché non si tenta non lo si può sapere. Non abbiamo nulla da perdere se ci proviamo – e il popolo cinese e quello tibetano hanno, loro, tanto da guadagnare!

Non si mischia sport e politica? Non si può privare il mondo di questo grande giubilo che sono i Giochi? D’accordo, amici sportivi. Ma non invertiamo i ruoli, sono i Cinesi che guastano la festa. Sono loro che si fanno beffe dei princìpi olimpionici. Sono loro che fan sì che la fiamma, che nei prossimi giorni sarà issata sull’Everest, passerà letteralmente sui corpi di uomini di preghiera e di pace assassinati. Ed è a causa loro, infine, è a causa dei macellai di Tienanmen e, ora, del Tibet, che l’agosto prossimo , quando vi disputerete le vostre medaglie con atleti anabolizzati, trasfusi, trasformati in semi-robot, dovrete correre, lottare, sfilare , in stadi macchiati di sangue.

E’ tempo –e si è ancora in tempo – di salvare e lo sport, e l’onore, e delle vite.

È tempo – e si è ancora in tempo- di correre il rischio e di evocare, come ha appena fatto Barack Obama, la possibilità, giusto la possibilità, del boicottaggio, di dire in una volta sola sì all’ideale olimpico e no ai Giochi della vergogna.

Mancano cinque minuti a mezzanotte, anche per tutto ciò.

Bernard-Henri Lévy, Le Point, 20.03.2008
(traduzione: Daniele Sensi)

1 commenti:

21/3/08 3:36 PM faustidio ha detto...

E' vero che la Cina sta dando un immagine troppo negativa di se (magari senza rendersene conto? Dubito).
Alla lista aggiungerei che un grafico ha rifatto il famoso logo delle olimpiadi (i cinque cerchi), trasformando in cinque quadrati. Non vi dico la polemica che è scoppiata... Per il logo delle olimpiadi. E poi si uccide, si caccia, si ghettizza.
In che mondo stiamo vivendo?